Spesso ho pensato che quelle sorgenti,
gloria e refrigerio della mia gente,
abbiano avuto influsso perfino nel suo
carattere che è,
nell'intimo,
dolce come acqua sorgiva.
 

Ernesto Balducci

 
 

E' probabile che in origine la Peschiera sia stata uno dei tanti laghetti che circondavano le falde vulcaniche dell'Amiata, generati dalle abbondanti sorgenti nel punto di contatto tra rocce permeabili e rocce imper­meabili. In ogni caso la zona dove sorge la Peschiera, che raccoglie le acque sorgive del fiume Fiora, sembra naturalmente vocata alla raccolta delle acque, anche se poi, l'uomo, ha utilizzato per propri fini questa vocazio­ne naturale.

Nel Medio Evo, secondo una suggestiva ipotesi for­mulata da Raffaele Del Rosso in Pesche e peschiere antiche e moderne dell'Etruria marittima (1905), la Peschiera di Santa Fiora potrebbe essere sorta intorno al 1300, o forse anche prima, come vivaio per l'allevamento del pesce che risultava un elemento essenziale delle nume­rose vigilie imposte dalla cultura di quei tempi:

 
 

"Accanto ad ogni monastero, presso ogni castello feudale, là dove le condizioni delle acque lo consentirono, sempre sorse nel Medio Evo il laghetto, lo stagno, la pescina, il vivaio. Era così sentito il bisogno di sfuggire agli obblighi che la Chiesa imponeva, che per ogni dove furono costruiti bacini e chiuse che il pesce trattenevano e in quelle era conservato e allevato, cresciuto e moltiplicato quell'alimento che così gradevolmente poteva esser sostituito alla carne proibita nelle frequenti vigilie". Ilnome di Peschiera sembra appunto convalidare questa funzione primordiale confermata del resto dalla prima testimonianza scritta che si possegga, quella di Papa Pio II Piccolomini (l'edificatore di Pienza) ospita­to di Guido Sforza nel 1462:

"Sul lato occidentale erompe un fiotto abbondante d'ac­qua che, dopo aver riempito un'ampia peschiera, attraverso certe condutture scende con grande screpitio nella valle sotto­stante. Nella peschiera sono allevate, come in un vivaio, trote grandissime, delle quali fu fatta non piccola pesca alla presenza del Papa."

 
 

Le testimonianze settecentesche, invece, pongono maggiormente attenzione sulle funzioni di raccolta d'acqua che la Peschiera aveva: il Terziere è denomina­to, non a caso, Montecatino.

 "Osservai - nota il natura­lista Micheli - che il Castello di Santa Fiora dalla parte di Mezzogiorno era situato sopra di un altissimo, e quasi per­pendicolare precipizio", mentre il Santi ricorda che "copiose sorgenti d'acqua scaturiscono tanto dentro il Castello, quanto nel contorno del medesimo. Questa grande abbondanza di acque perenni è stata utilmente diretta al servizio e al commodo di Mulini, di due Gualchiere, di una Ferriera, e di una Tintoria, che vi si sono stabilite ( ..) Vi è pure una gran peschiera di acqua viva, nella parte inferiore del Castello in piano, costruita per vivaio di Trote ad uso dei Conti".

Queste annotazioni sono confermate dalla pianta di Santa Fiora del Catasto Leopoldino che ci mostra due corsi d'acqua che, con funzioni difensive e per necessità di alimentazione dei mulini e degli altri stabilimenti, dalla porta centrale si diramano, uno verso occidente e l'altro verso oriente, fino a reincontrarsi nella zona di Montecatino, da cui il fiume Fiora aveva la sua propria vera origine.

 
 

 Non è improbabile che la Peschiera, già in epoca rinascimentale, in un periodo in cui "le dimore con giar­dino diventano ostentazione di ricchezza ed espressione di potere, ma, nello stesso momento, sede di manifestazioni ludi­che, teatro di rappresentazioni, luogo di convivio e di accade­mia" sia venuta assumendo, e forse in maniera prevalen­te, le caratteristiche di un parco-giardino dove l'acqua assolveva un ruolo decorativo di primaria importanza, in sintonia con lo status dei Signori di Santa Fiora. La stessa ristrutturazione rinascimentale dell'antico castello  degli Aldobrandeschi e il successivo abbellimento con affreschi di scuola romana, stanno a dimostrare la nuova attenzione residenziale dei Conti di Santa Fiora e l'im­portanza attribuita all'esteriorità, alle cose belle, al senso dell'ospitalità.

 La prima diretta testimonianza relativa al parco-giar­dino ce la fornisce lo studioso locale Battisti che, verso la fine del `700, così scrive: "Sopra la Peschiera vi è un campo che si chiama il Giardino perché quando stavano qua in permanenza i nostri Conti era veramente tale, ed in simile forma e più bello era l'altro sotto il detto che ora serve per il pubblico ".

 
 

Evidentemente, con gli anni, parallelamente alla decadenza della famiglia Sforza, il parco della Peschiera aveva subito un marcato degrado contro il quale ínter­venne il duca Lorenzo Sforza-Cesarini nel 1851, intra­prendendo memorabili opere di ristrutturazione, così descritte da Romei:

"Ammirasi a questa (Peschiera) unito un delizioso parco all'inglese, fatto con arte dal duca Lorenzo, ed abbellito dal gusto delicato di donna Carolina.... Ivi si intrecciano i rami del pino con quello dell'abete e del cipresso. La magnolia odo­rifera ed i rododendri sono ombreggiati da grossi antichi castagni... Alle molteplici rose di variati colori sono unite le viole, le fucsie, le camelie e i mughetti fragrantissimi (...). La prateria intersecata da ben disposti bianchi stradelli, ammor­biditi da trachitiche rene, che li conservano sempre asciutti; un largo fossato colmo di limpidissime acque la circonda, in cui guizzano allegre numerosissime trote.

 
 

I verdi e spessi sedili servon di lieto riposo ai fortunati visitatori del delizioso giardino, che dal duca Lorenzo fu cir­condato da un alto oscurissimo muro, e la facciata prospi­ciente la strada venne abbellita da grossi' e ben collocati massi trachitici."

Lo specchio d'acqua è, via via, infranto dai guizzi delle trote e allietato dalla presenza di cigni e germani.

"Le polle affiorano con silenzioso rigoglio e fanno lago; tra i licheni e le alghe si affaccia il fondo renoso che sotto il velo mosso si trascolora in variazioni di madreperla; le trote si affacciano dai boschetti subacquei e scivolano con guizzi che eludono l'occhio; se tace il vento tra il bosco dei castagni, si ode appena il gorgoglio sordo di vene che premono e spando­no i fiotti larghi entro il bacino, variando all'infinito le pure composizioni di luce." (Balducci)

 
 

Tutt'intorno un giardino e un parco intersecato da viottoli scavati nella trachite. Tra le specie forestali pre­senti il pino, l'abete bianco, il cipresso arizzonico, il tiglio, il leccio (nella parte meridionale, dove si discende alla cascatina, un leccio e un tiglio si intrecciano quasi fossero solo una pianta), il cedro del Libano e le magno­lie. Risalendo per i viottoli, tra i massi trachitici, ci si inoltra tra castagni secolari; il castagneto prosegue verso nord-est, fuori delle delimitazioni del parco. Il boschet­to, che sovrasta l'area del centro di ristoro, è dominato da lauro-ceraso. Vicino all'ingresso si può notare anche un mascherone in peperino proveniente dalle fonti del convento delle Clarisse.

 
 

In passato l'acqua delle sorgenti alimentava alcuni opifici che sorgevano sotto la Peschiera: una gualchiera per lavorare la lana, una ferriera per lavorare ematite elbana e, soprattutto, diversi mulini che macinavano castagne secche e grano: le strutture murarie, le macine, le gore e i percorsi dell'acqua, rimangono ancora a testi­monianza lungo Via dei Mulini.

 
 

 Subito fuori dall'ingresso della Peschiera troviamo la chiesa della Madonna delle Nevi, costruita dai frati ago­stiniani nel XVII secolo. Sulla facciata una robbiana raf­figurante le Sante Flora e Lucilla; all'interno affreschi di Francesco Nasini del 1640. Sollevando una mattonella mobile del pavimento si può sentire il "murmure" della sorgente. "La chiesetta giallognola, sotto il cui pavimento mormorano le onde sotterranee in cerca di luce, mi appare come sospesa tra il cristallo delle acque e il diamante cupo dei castagni che la sovrastano." (Balducci)